Commercio globale, Rivoluzione agricola e Rivoluzione industriale

Tra Sei e Settecento inizia una lunga fase di grande dinamismo economico, che coinvolge svariati settori dall’agricoltura alla manifattura, al commercio. Nei continenti esotici c’è una grande disponibilità di braccia e ricchezze che gli europei, per vari motivi vanno sfruttare. A fine ‘500 erano state le spezie a mettere in moto una serie di scoperte geografiche che, messe in connessione attraverso percorsi stabili a lunga percorrenza, danno vita a una prima forma di globalizzazione (interdipendenza economica tra i paesi attraverso scambi commerciali, accordi finanziari e altri tipi di interazioni economiche, politiche e culturali). Nei porti europei arrivano quantità di nuovi prodotti per i quali vengono fondati appositi luoghi di consumo, come le botteghe del caffè. sembra che la prima città ad ospitare caffè sia stata Venezia, a metà del Seicento, giovandosi dei rapporti con il Medio Oriente e l’impero ottomano. Venezia è subito seguita da Londra, Marsiglia e Amburgo. Dai gesti della quotidianità, bere il caffè e leggere il giornale, nascono due personaggi storici particolarmente influenti: la società dei consumi e l’opinione pubblica.

Nel ‘700 i circuiti globali sono ancora quelli che hanno preso forma tra Cinque e Seicento: uno va verso le Indie orientali e un altro si muove tra Europa, Africa e Americhe, tracciando il commercio triangolare (dall’Europa partono navi cariche di merci da scambiare in Africa con gli schiavi, quindi ripartono per i Caraibi, il Brasile o le colonie del Nord dove vengono venduti gli schiavi e acquistati i prodotti delle piantagioni da esportare in Europa). Ci sono, però, alcune modifiche riguardo ai beni commerciati: mentre declina il commercio delle spezie, dall’India arrivano sempre più tessuti di cotone, tè e caffè. Nel commercio triangolare, invece, via via che aumenta la popolazione nelle colonie americane aumenta anche la domanda di beni prodotti in Europa, in particolare di utensili e tessuti. Allo stesso modo, aumenta la domanda europea di caffè, zucchero, tabacco e poi anche in cotone, che si affiancano in maniera consistente all’esportazione di metalli preziosi, in particolare dell’argento, essenziale per il commercio asiatico. La crescita di domanda in Europa fa aumentare la domanda di schiavi da impiegare nelle piantagioni, cosicché nel Settecento la tratta degli schiavi raggiunge il culmine, con 4 milioni di deportati, che sono per lo più prigionieri di guerra e persone rapite dai mercanti di schiavi locali. Sebbene alcuni condannino questo tipo di sfruttamento, l’opinione dominante considera i neri come essere inferiori.

C’è anche un’altra serie di novità:

  • cambiano i protagonisti dei commerci; se nel Seicento erano le navi spagnole, portoghesi e olandesi a contendersi il controllo delle rotte principali, a partire dal secolo successivo gli inglesi e i francesi pongono la loro egemonia commerciale.
  • Coloni francesi e britannici vanno a popolare l’India e l’America del Nord e si impegnano in una competizione non solo economico-commerciale, ma anche politico-militare. La Gran Bretagna riesce ad imporsi in ogni area del commercio globale proprio grazie alla sua Marina Militare.
  • Gli effetti dell’espansione commerciale si ripercuotono sulla struttura sociale europea; all’inizio solo l’aristocrazia e l’alta borghesia possono giovarsi dei beni esotici, che rappresentano consumi di lusso, dai quali, comunque, il commercio trae beneficio. Perciò cresce il reddito dei vari operatori economici, che a loro volta aumentano la domanda.
  • Visto che dalle colonie aumenta la domanda di manufatti europei, l’attività produttiva aumenta anche nel vecchio continente e l’aumento dei redditi fa crescere anche la domanda interna.

Questa crescita economica è supportata da una serie di significativi cambiamenti prodotti in Gran Bretagna da una rivoluzione agricola e da una rivoluzione industriale.

La rivoluzione delle Campagne

L’aumento di domanda innescato dal traffico transoceanico riguarda in primo luogo la produzione agricola, dato che l’aumento di reddito delle classi più basse viene rivolto a soddisfare le esigenze alimentari. Perciò il settore agricolo viene subito chiamato in causa dagli aumenti di reddito prodotti dal vivacizzarsi degli scambi.   Alcuni parlano di una vera e propria rivoluzione agricola che, a differenza di quella industriale, non dipende dall’introduzione di nuove macchine, ma da una razionalizzazione dello sfruttamento delle terre e da una riorganizzazione della gestione delle aziende. Nel corso del XVIII secolo il processo di enclousure, cioè di recinzione delle proprietà terriere, iniziato nel ‘500, subisce una forte accelerazione. Prima di allora le proprietà terriere erano divise in piccoli segmenti posseduti da diversi proprietari, ma i grandi proprietari riuscirono, con l’autorizzazione del Parlamento, a redistribuire gli appezzamenti per formare unità agricole compatte. Ognuno riceveva la stessa superfice di terra che possedeva prima della recinzione, solo che distribuita in modo meno caotico, ma in questo processo vennero ridistribuite anche le terre comuni, essenziali per i piccoli proprietari che, infatti, cercarono di opporsi, ma alla fine dovettero vendere le loro terre, che da sole non erano sufficienti al loro sostentamento. I grandi proprietari fanno gestire le loro aziende a degli affittuari, che spesso introducono innovazioni, ed assumono manodopera salariata dai villaggi contadini danneggiati dalla confisca delle terre Comuni, sebbene molti contadini si trasferiscono nelle città. Una delle innovazioni più importanti è la rotazione pluriennale, anche detta sistema di Norfolk perché viene sperimentata per la prima volta in quella contea. E così la produttività dell’agricoltura inglese aumenta notevolmente, i mercati sono sempre più forniti e i prezzi diminuiscono, i consumatori hanno maggiore potere d’acquisto e rivolgono parte dei loro redditi ai beni esotici contribuendo a mandare avanti la nuova economia globale. Inoltre sin dal ‘600, si diffondono nuove coltivazioni: la prima è quella del riso, che trova nelle regioni del nord Italia le migliori aree produttive. Poi c’è il mais che si diffonde sempre nell’Europa meridionale, ma su un’area più vasta e infine le patate che hanno la loro area di produzione privilegiata nel nord Europa.

La transizione demografica: nei secoli precedenti, in una fase espansiva, la popolazione cresceva fino a superare la possibilità di espansione dell’agricoltura, cosicché la domanda supera l’offerta, i prezzi tornavano crescere e la popolazione a diminuire, soprattutto a causa di denutrizione ed epidemie. La caduta della domanda determinava la diminuzione dei prezzi, per cui il ciclo economico di crescita riprendeva finché non trovava di nuovo il suo limite massimo di espansione, come previsto dal modello malthusiano. Ma nel sei-settecento ciò non accade: l’accentuato e rapido aumento demografico non viene interrotto da crisi di mortalità che, al contrario, è in netta diminuzione mentre la natalità rimane stabile, mantenendosi quindi a livelli molto alti. È così che si verifica il boom demografico, particolarmente intenso in Gran Bretagna dove fra la metà del Settecento e il 1800 la popola-zione passa dai 10 ai 16 milioni con una crescita del 60%, mentre in generale in Europa è del 30%; la dieta più ricca e integrata alcuni successi della medicina e il miglioramento delle condizioni igieniche sono i responsabili di questo processo.

La rivoluzione industriale

I primi cambiamenti che determinano la rivoluzione industriale avvengono nel settore tessile. Sia sul mercato interno britannico, sia su quello delle colonie, la domanda è in crescita e viene soddisfatta soprattutto dall’importazione di calicò indiani. Ma molti imprenditori e inventori britannici si industriano per produrre le stesse quantità di merci a costi ancora più bassi, per battere la concorrenza indiana. Così una serie di invenzioni tecniche provocano effetti rivoluzionari sul sistema produttivo e di conseguenza sugli scambi commerciali: a metà del Settecento entra in funzione la navetta volante, inventata da un orologiaio John Kay; l’invenzione aumentare la domanda di filo e per farvi fronte un tessitore, James Hargreaves, costruisce un filatoio meccanico manuale, la Jenny; due anni dopo un barbiere, Arkwright, costruisce un filatoio azionato da energia idraulica. Le due macchine vengono combinate insieme da un proprietario terriero, Samuel Crompton, che crea la mule Jenny. Quando queste macchine si diffondono il problema si inverte e la tessitura non riesce a stare al passo con la filatura, così un ecclesiastico, Cartwright, inventa un telaio meccanico ad energia idrica.

Nello stesso tempo si sviluppa il settore siderurgico: in Inghilterra ci sono giacimenti di carbon fossile e di minerale ferroso perciò c’è una lunga tradizione di lavorazione di ferro e ghisa, che nel corso del Settecento viene perfezionata, dando maggiore impulso all’estrazione. Per scendere sempre più in profondità bisogna portare l’acqua in superficie, e a tal fine un ingegnere scozzese, James Watt, lavorando su un modello preesistente, mette a punto una pompa a vapore. Questa macchina, ulteriormente perfezionata, diventa in grado di produrre energia da trasmettere ad altre macchine e così nasce la macchina a vapore che ha una notevole portata innovativa, potendo azionare ininterrottamente i filatoi e i telai meccanici. In questo modo i tessuti di cotone britannici diventano altamente competitivi, e in seguito anche quelli di lana e di seta. Inoltre la domanda di macchinari dà impulso alle industrie siderurgiche e meccaniche.

Già in questa prima fase della rivoluzione industriale emergono chiaramente alcuni aspetti significativi:

  • il fenomeno ha un carattere cumulativo: un cambiamento ne provoca un altro e così via, formando un sistema di interdipendenza economica che poi si troverà esposto a gravi crisi produttive.
  • Le innovazioni non si diffondono in modo immediato e uniforme, ma i nuovi centri industriali sorgono nei luoghi che offrono particolari vantaggi, come la vicinanza ai porti (Bristol, Cardiff, Liverpool, Glasgow, Edimburgo) e ai distretti carboniferi, o anche la preesistenza di botteghe artigiane in modo da poter trasferire la manodopera dai piccoli e dispersi laboratori nelle grandi fabbriche in cui si concentrano le macchine.
  • Si afferma una geografia produttiva a macchia di leopardo poiché i nuovi distretti produttivi sorgono in territori tecnologicamente molto arretrati. Questa geografia, fra l’altro, interessa ancora soltanto la Gran Bretagna: nella prima fase della Rivoluzione l’unico nuovo centro industriale di nuovo tipo in Europa si trova a Barcellona.
  • Gli operai della prima rivoluzione industriale sono ex artigiani o ex contadini, insieme ai componenti della loro famiglia, che si sono trasferiti nelle città industriali. Qui trovano condizioni di lavoro molto rigide, con tempi di lavoro volti ad ottimizzare l’uso delle macchine tenute continuamente in attività. Inoltre l’impiego delle macchine rende meno necessaria la manodopera, aumentando i livelli di disoccupazione ogni volta che viene introdotta una nuova tecnologia. Perciò, già alla fine del Settecento, iniziano le prime proteste operaie che si traducono anche in atti di sabotaggio praticati dai cosiddetti luddisti dal nome del primo sabotatore, Ned Ludd.