Franz Boas – particolarismo storico e relativismo culturale, critica al razzismo e interpretazione del Potlatch

Il particolarismo storico

Franz Boas è il capostipite della corrente antropologica anti-evoluzionistica del particolarismo storico. Insegnò alla Columbia University di New York, e fu maestro dei più importanti antropologi statunitensi della seconda metà del ‘900, fra cui Margaret Mead e Ruth Benedict. Boas studiò matematica, fisica e geografia e scrisse una tesi sulle differenze dei colori dell’acqua marina, notando che gli eschimesi hanno categorie cromatiche diverse dagli occidentali. Si dice che quest’esperienza lo convertì all’antropologia culturale perché è legata ad un’idea fondamentale del particolarismo storico e poi del il culturalismo americano: l’idea che le categorie culturali e linguistiche, che non sono innate e universali, ma variano da popolo a popolo, influenzino la percezione. Un altro esempio è che gli eschimesi hanno più termini per designare la neve, perché è un elemento che caratterizza il loro habitat locale; è l’ambiente, l’habitat locale che determina i particolari caratteri culturali. Questa tesi, che ricorda anche le idee di Herder e Frobenius, per cui le culture esistono localmente, è alla base dell’approccio particolaristico di Boas e della sua critica all’evoluzionismo.

In particolare criticò il metodo deduttivo generalizzante e aprioristico che mirava a creare una grande narrazione comune dominata dal progresso, riconducendo tutte le somiglianze ad una trama di fondo uguale per tutti di tipo processuale. Per Boas i tratti culturali simili non giustificavano né l’origine comune, né il fatto che tutta l’umanità si muovesse secondo direttrici necessarie, perciò contrappose al metodo evoluzionista comparativo un approccio storico idiografico, individuante, particolaristico e non apriorista, ma empirico, basato sull’osservazione diretta. Attraverso una prolungata ricerca sul campo incentrata sui membri della società e sui fenomeni della vita associata, si potevano determinare le particolari cause storiche all’origine delle diverse culture. Quindi il compito dell’etno-antropologo era quello di andare presso i micro-aggregati per cercare d’immedesimarsi, di capire il punto di vista del nativo e di vedere la realtà sociale dalla sua prospettiva, nell’idea che le dinamiche sociali si potessero comprendere veramente solo dall’interno della società.

Boas delineò, poi, una prospettiva, sviluppata dai suoi allievi, in cui i singoli, relazionandosi con il gruppo e accettando o rifiutando i tratti culturali in cui vivono, contribuiscono a riprodurre o modificare la propria cultura. Boas è, inoltre, considerato il padre del relativismo culturale, l’idea secondo cui il significato e la validità di tutte le manifestazioni culturali va contestualizzato entro le società da cui queste promanano.

La critica al razzismo di Boas

Boas fu uno dei primi teorici dell’antirazzismo e mise in discussione una tesi, allora molto diffusa e di derivazione biologico-darwiniana, per cui la relazione fra ambiente e cultura è unidirezionale e deterministica in quanto un dato ambiente produce necessariamente una certa razza con la sua cultura: l’ambiente europeo avrebbe, quindi, determinato delle caratteristiche biologiche superiori alle altre. Boas capì che la relazione fra natura e cultura è bidirezionale perché la cultura, pur essendo condizionata dall’ambiente esterno, retroagisce sulle condizioni ambientali e può modificare non solo la natura esterna, ma anche quella interna umana; la biologia, la razza, risente sia dell’ambiente fisico, sia di quello sociale La cultura è un secondo ambiente che comporta delle griglie adattive che modificano i corpi. Boas giunse a questa conclusione osservando che i figli degli immigrati europei in America erano fisicamente diversi dai loro antenati, perché avevano vissuto in un ambiente diverso.

Il rito del Potlatch

Negli ultimi anni dell’Ottocento, Boas condusse delle ricerche fra i nativi americani della costa nord-ovest del Pacifico (Columbia britannica), i Kwakiutl, portando l’attenzione su una particolare istituzione, il Potlatch, che era un rito iniziatico di tipo ridistributivo consistente in un complesso di pratiche rituali, il cui nucleo centrale consisteva nell’offerta cerimoniale: chi organizzava il Potlatch offriva una quantità di beni ai partecipanti al fine di esibire pubblicamente la propria posizione sociale derivante dalla ricchezza, per conservare o far salire il proprio rango. Infatti il Potlatch conferiva il prestigio maggiore a colui che elargiva la quantità maggiore di beni e chi non riusciva a ricambiare un Potlatch perdeva il proprio status; la funzione sociale di questa pratica era quella di definire una gerarchia fra i clan (o anche all’interno dei clan).

*Questo cerimoniale ci dà l’immagine di una società competitiva e fortemente stratificata, con schiavi e liberi di vario rango e molto attenti ad accrescere il loro prestigio nella tribù (secondo un principio olistico teorico-metodologico l’analisi delle cerimonie è utile a comprendere le varie società, inoltre l’etnologia vede nei momenti cerimoniali come dei tratti che ci mostrano in modo sintetico la società nel suo insieme).
Il Potlatch è, con il tempo, degenerato in distruzioni di enormi ricchezze e talvolta anche nel sacrificio degli schiavi o dei figli. A questa degenerazione sono state date diverse spiegazioni:

  • una spiegazione di derivazione illuministica chiamava in causa la presunta irrazionalità dei selvaggi, che poi serviva anche a giustificare la dominazione occidentale.
  • Boas propose, invece, un’interpretazione di tipo psicologico-economico, per cui l’impulso all’auto-glorificazione e alla conquista di prestigio divenne sempre più travolgente; quest’idea venne ripresa da Ruth Benedict, che descrisse i kwakiutl come dei megalomani presi da un desiderio, apertamente dichiarato, di primeggiare sugli altri. Boas aveva inoltre una concezione utilitaristica in cui il Potlatch era un modo per massimizzare l’utile: il fine era quello di salire di rango, quindi non era un fenomeno irrazionale. Spinto probabilmente dalla sua disposizione antirazzista, Boas descrisse il Potlatch in termini d’economia di mercato, avvicinando i selvaggi agli occidentali, ma per questo fu anche accusato di etnocentrismo.
  • In seguito venne data un’interpretazione storico-ecologica che contestualizzava quella degenerazione all’interno della cornice del colonialismo, tenendo, quindi, conto che i Kwakiutl erano stati decimati, soprattutto a causa delle epidemie dovute al contatto con gli occidentali, e si erano ritrovati ad avere risorse eccessive rispetto alle loro strette necessità (non a caso venivano distrutti soprattutto prodotti commerciali europei). Inoltre erano popoli molto bellicosi ai quali venne vietato di farsi guerra, perciò riversavano le loro ostilità nei Potlatch. Da un’ottica strutturalista si potrebbe dire che il cambiamento delle forme produttive (erano stati introdotti i commerci e la manodopera salariata) si è ripercosso sui rapporti sociali e sulla modalità dei riti (determinando un accumulo insensato e un eccesso di dissipazione). Questo è un caso che mostra come la cultura sia un insieme complesso, un tutto integrato, composto cioè da elementi interconnessi che influiscono li uni sugli altri. Il rito originario non era auto-distruttivo, la sua funzione autentica era probabilmente quella di mantenere la popolazione nella condizione più idonea e meglio adatta all’ambiente. Questa spiegazione esclude, quindi, la megalomania e l’ossessione per la gerarchia, che forse erano aspetti divenuti eccessivi proprio per la degenerazione del fenomeno e più in generale per la crisi socio-culturale che aveva investito quei popoli.