Herbert Spencer – progresso, evoluzione, darwinismo sociale

Spencer (Derby 1820 – Brighton 1903) fu uno dei pensatori che contribuirono a divulgare l’idea di evoluzione come progresso necessariamente indirizzato al meglio (idea che non compare in Darwin il quale, tra l’altro, parlava più di discendenza con modificazioni che di evoluzione). In un articolo del 1857, Progress: its Law and Cause, Spencer afferma che la legge del progresso organico (intende lo sviluppo embrionale) è la legge di ogni progresso, che quindi va dal semplice al complesso, dall’omogeneo all’eterogeneo. In seguito Spencer sostituì la parola progresso con quella di evoluzione che, inizialmente, aveva proprio il significato biologico di sviluppo, e teorizzò un’evoluzione universale divisa in inorganica (fisica e cosmologica), organica o biologica e superorganica o sociale. Nei Principi primi (1862) pose le basi di un sistema di filosofia sintetica, il cui scopo era quello di presentare tutte le forme di evoluzione in ordine “sintetico”, deducendole, cioè, dalla legge fondamentale della persistenza della forza (conservazione dell’energia) di cui l’evoluzione è una conseguenza: agendo su aggregati di materia, le forze producono effetti che si moltiplicano in una ramificazione crescente di trasformazioni e diversificazione. Così, per cause puramente fisiche e basandosi sulla proprietà della materia, della forza e del movimento, l’evoluzione produce un universo sempre più complesso ed articolato ed è inevitabile, così come il progresso che ne è la manifestazione sociale. Il progresso, quindi, è una legge di natura e le azioni umane possono solo intralciarlo o accelerarlo.

Il contributo di Darwin all’evoluzione non rappresenta un elemento fondamentale per la teoria di Spencer, il quale, fra l’altro, dava più importanza al fattore lamarckiano che alla selezione naturale (se anche questa si fosse rivelata falsa, la sua legge dell’evoluzione cosmica sarebbe rimasta valida). Spencer è considerato anche un darwinista sociale, ma espresse le sue tesi prima del 1859; non si trattava quindi di semplici applicazioni di concetti darwiniani alla società, ma di argomenti che circolavano già prima e che trovarono un sostegno nella teoria darwiniana. L’idea centrale riguardava la libera concorrenza: le forme di assistenza pubblica e le leggi a favore degli svantaggiati sono dannose perché interferiscono con le leggi di natura e rallentano l’evoluzione-progresso. La carità deve essere privata, poiché se organizzata dallo stato si riduce ad un esercizio burocratico che impedisce i sentimenti altruistici e incoraggia la pigrizia. In risposta a questi argomenti, gli antiliberali sottolinearono l’importanza degli istinti sociali, della simpatia e della coesione del gruppo, che lo stesso Darwin aveva messo in rilievo nell’Origine dell’uomo: gli impulsi egoistici riguardano le forme inferiori, mentre gli animali superiori si sono evoluti anche grazie alla cooperazione. Il naturalista russo Kropotkin osservò che via via che si sale nella scala dell’evoluzione la lotta per l’esistenza viene affiancata dal principio del mutuo soccorso. Il biologo inglese Huxley (1825-1895) criticò la pretesa di giudicare moralmente i meccanismi evolutivi, che sono amorali (Spencer, invece, identificava la moralità con l’adattamento all’ambiente sociale e con l’utilità per la felicità individuale e la convivenza civile.) Per Huxley più adatto non significa eticamente migliore, perciò al processo cosmico deve venir contrapposto un processo etico, ma Spencer obiettò che se si abbraccia l’evoluzione anche le norme etiche devono essere considerate come un suo risultato, perciò non possono contrapporsi al processo cosmico. La naturalizzazione dell’etica di Spencer, d’altro canto, era ostacolata da quella che Moore definì “fallacia evoluzionistica”: come aveva osservato anche Hume (1711-1776) è illegittimo passare dal piano della descrizione a quello della prescrizione.