L’impero carolingio – dall’ascesa dei Pipinidi a Carlo Magno

L’ascesa dei Pipinidi

Dopo la morte di Clodoveo, l’autorità regia si indebolì e il regno dei Franchi si divise in quattro organismi politici fra loro rivali, la Neustria, l’Austriasia, l’Aquitania e la Borgogna. Quest’ultima si unì alla Neustria, mentre l’Aquitania divenne una realtà indipendente dall’antico regno franco, perciò nel VIII secolo la lotta per l’egemonia riguardava l’Austrasia e la Neustria ed era combattuta non tanto dai sovrani, quanto dai loro maestri di palazzo o maggiordomi, che detenevano il potere effettivo. Quelli dell’Austrasia, i Pipinidi, discendenti di Pipino di Landen, e riuscirono ad imporsi soprattutto grazie a Pipino II di Heristal che nei decenni fra il VII e l’VIII sec. fu l’arbitro assoluto del potere. Il figlio Carlo Martello si impegnò in un’opera di ricomposizione politico-territoriale e oltre a rafforzare il suo potere, riuscì ad estendere il dominio franco in Frisia, Alemannia e Turingia (Germania). Non riuscì, tuttavia a respingere gli arabi oltre i Pirenei e a liberare la Linguadoca dalla loro occupazione, ma la vittoria nel 732 a Poitiers gli valse un grande prestigio come campione della cristianità! Alla morte senza eredi di Teodorico IV, nel 737, Carlo lasciò il trono vacante e si comportò come un re a tutti gli effetti, tant’è che quando morì, nel 741, divise il regno tra i figli Carlomanno e Pipino il Breve (come facevano i sovrani merovingi). L’opposizione da parte dell’aristocrazia portò al ripristino della monarchia merovingia con Childerico III, la cui autorità era del tutto formale. Quando Carlomanno si ritirò nel monastero di Montecassino, Pipino si trovò ad essere l’arbitro assoluto del potere e nel 750, stando agli Annales regni Francorum, inviò due ambasciatori a papa Zaccaria per chiedergli se dovesse essere re chi ne aveva il titolo o chi deteneva il potere effettivo e sembra che il papa si fosse espresso a favore di quest’ultimo. Questa testimonianza era interessata a legittimare il potere di Pipino, ma non si può escludere che il papato abbia dato il suo sostegno, dato che era interessato a legarsi alla potenza franca per opporsi all’espansionismo longobardo. Nel 752 Pipino si fece proclamare re da un’assemblea di grandi a Soissons e simbolicamente si fece ungere da alcuni vescovi, fra cui quello di Magonza, il monaco benedettino anglosassone Bonifacio, che svolse un ruolo importante nell’evangelizzazione di Frisoni e Sassoni. Pipino si fece consacrare nuovamente nel 754 da papa Stefano II, andato in Francia per chiedere l’aiuto anti-longobardo, a sottolineare l’esigenza di legittimare la sua monarchia, dandole un fondamento sacro.

In realtà la supremazia dei pipinidi aveva una base prettamente militare: la numerosa clientela armata* che si accrebbe ulteriormente quando Carlo Martello, oltre a dare in beneficio i suoi vasti possedimenti in Austrasia, si servì anche delle terre del fisco regio, dei monasteri e delle chiese vescovili. Questa manovra venne giustificata con il fatto che i vassalli dei pipinidi usufruivano di terre, la cui proprietà rimaneva degli enti ecclesiastici, in cambio di un servizio armato prestato in difesa della cristianità, minacciata dagli arabi. Carlo Martello riuscì a reclutare anche altri esponenti dell’aristocrazia già dotati di seguiti armati; si venne così a creare intorno alla sua famiglia una fitta rete di clientele politico-militari che si sovrappose all’apparato monarchico merovingio e ciò spiega perché Pipino il Breve riuscì a spodestare Childerico III senza trovare resistenze.


* I germani erano per definizione popoli di uomini in armi. Gli esponenti della nobiltà avevano mantenuto la tradizione dell’antico comitatus, ma non potendo più ricompensare il proprio seguito armato attraverso le razzie, concedevano le loro terre in cambio del giuramento di prestare servizio militare in determinate occasioni. Era un espediente simile alle corvées, ma ovviamente il servizio di un guerriero era considerato molto più prestigioso di quello di un contadino perciò l’ingaggio del guerriero veniva formalizzato con una cerimonia e sancito con un giuramento di fedeltà. Il bene fondiario che veniva concesso in cambio al vassallo era detto beneficium o anche feudum, termine di radice germanica che perse il suo originario significato di bene mobile o bestiame. Il diffondersi dei rapporti vassallatico-beneficiari fece sì che all’interno dell’esercito regio acquisissero sempre più importanza i gruppi vassallatici guidati dai signori.


Pipino il Breve

Basandosi sul potere militare, Pipino il Breve non poteva che dare impulso all’espansionismo franco. I primi a pagarne le spese furono i longobardi che a loro volta cercavano di espandersi in Italia: Astolfo che aveva conquistato, nel 751, Ravenna e il ducato di Spoleto, guardava a Roma, perciò Stefano II andò personalmente a chiedere aiuto a Pipino, rinnovando l’unzione e confederandogli il titolo di patrizio dei romani. Negli ambienti di corte c’era un forte partito filo-longobardo, sostenuto anche dal fratello Carlomanno, perciò per ottenere il sostegno il papa intrattenne a Quierzy delle trattative durante le quali non è detto che venne fatto riferimento alla donazione di Costantino, ma la compilazione del falso risale proprio a quel periodo e proprio allora il papato si stava volgendo a creare una dominazione nell’Italia centrale. Pipino, che aveva affermato la sua monarchia anche grazie al clero, non poté sottrarsi e nel 755, alla chiusa di S. Michele vinse Astolfo che si rifugiò a Pavia e si arrese dopo un breve assedio; promise, quindi, di lasciare al papato Ravenna e altri territori bizantini, ma in seguito tornò a minacciare Roma e fu nuovamente sconfitto dai franchi e costretto a cedere i territori bizantini ai beati apostoli Pietro e Paolo. Il successore Desiderio decise di mantenere buoni rapporti con Pipino e l’amicizia venne sancita dal matrimonio delle principesse longobarde con i principi franchi Carlomanno e il futuro Carlo Magno.

Carlo Magno

Alla morte del fratello nel 771, Carlo rimase l’unico sovrano e decise di riaprire, dopo 15 anni di pace, l’ostilità con i Longobardi, perciò ripudiò la moglie Ermengarda. Desiderio rispose attaccando i domini pontifici. Adriano I che era diventato papa nel 772, si appellò a Carlo che l’anno seguente sconfisse Desiderio in Val di Susa e dopo aver assediato Pavia lo fece prigioniero e nel 774 fu incoronato re dei Longobardi (Adelchi si oppose invano). In un primo momento venne conservato l’apparato amministrativo e giuridico longobardo e i duchi mantennero le loro proprietà fondiarie, ma due anni dopo si rivoltarono ai franchi e Carlo, per assicurarsi un maggiore controllo del nuovo regno, fece trasferire nella penisola molti dei suoi conti e vassalli i quali portarono in Italia i rapporti vassallatico-beneficiari, che non erano una novità, ma una forma perfezionata dei rapporti clientelari usati anche dai longobardi.

Le campagne militari

Carlo Magno si impegnò in molti altre guerre: nel 778 marciò contro i musulmani di Spagna, ma la spedizione venne interrotta a causa di una rivolta dei sassoni e il progetto fu ripreso solo nell’801 e procedette con molta lentezza, solo più di 10 dopo venne creato un nuovo distretto di confine la Marca Hispanica, con capitale Barcellona. La resistenza dei sassoni aveva impegnato Carlo Magno per quasi 30 anni, infatti anche se i loro capi avevano accettato il cristianesimo, i contadini si mantennero in armi sotto la guida di Vitikindo fino all’804. Quindi si riuscì a completare l’opera di evangelizzazione che era costata la vita del monaco Bonifacio, dando alla regione un ordinamento ecclesiastico: la rete di diocesi faceva capo agli arcivescovi di Colonia e Magonza.

Nel frattempo erano state incorporate anche la Baviera, la Carinzia e l’Austria, territori che ruotavano intorno alla figura del duca Tassilone, il quale era riuscito a tradire la fiducia sia di Pipino il Breve sia di Carlo Magno: si era infatti alleato con Desiderio per poi tornare dalla parte dei Franchi, continuando però a rivendicare la sua autonomia. Con queste ultime annessioni il Regno Franco si estendeva su un vastissimo territorio (dalla Spagna al mare del Nord al centro Italia) intorno al quale gravitava un’area di influenza di cui facevano parte il ducato di Benevento e una fascia dell’Europa orientale nella quale venivano inviate spedizioni e campagne missionarie dirette alle popolazioni slave, in particolare agli Avari che dalla Pannonia compivano incursioni in Germania.

L’incoronazione imperiale

Il papato, via via che Carlo ampliava il suo potere, gli attribuiva prerogative proprie dell’imperatore bizantino ed egli, spinto probabilmente dagli uomini di cultura che circolavano nella sua corte, mostrava di ispirarsi al modello imperiale romano, in particolare a Costantino, tant’è che fondò una città capitale, Aquisgrana. Continuò a far uso dei titoli di re dei franchi, dei longobardi e Patrizio dei romani, fin quando venne incoronato imperatore nel natale dell’800.

Questo riconoscimento del suo centrale ruolo politico fu il risultato di una serie di circostanze: infatti sia l’autorità della corona bizantina, sia quella del papato erano in quel periodo particolarmente deboli, poiché Irene, che aveva spodestato il figlio Costantino VI, non era riconosciuta dalla maggior parte come imperatrice, mentre Leone III, papa dal 795 era contestato dalla nobiltà romana ed accusato di adulterio. Nel 799, durante una processione, venne aggredito ed imprigionato nel monastero di Sant’Erasmo. L’intervento di due missi franchi gli permise di rifoggiarsi presso Carlo, che lo aiutò a tornare a Roma e a riacquisire la sua autorità. Il 1° dicembre dell’800 il papa, davanti a un’assemblea di prelati e laici giurò la sua innocenza e venne riabilitato, per poi incoronare Carlo a San Pietro, durante la celebrazione liturgica.

Si è molto discusso sui ruoli che ebbero i personaggi di questa vicenda e la discordanza delle fonti è probabilmente dovuta alla volontà di accentuare il ruolo dei franchi o quello dei romani, ad ogni modo Carlo (a differenza di come sembra prospettare il suo biografo Eginardo), dovette essere il vero arbitro della situazione, ma il fatto che venne incoronato dal papa sottolineava la supremazia religiosa della Chiesa, l’unica che poteva legittimare e dare un valore sacrale ad un potere che ormai si estendeva su gran parte della cristianità occidentale. A Oriente il titolo imperiale di Carlo venne riconosciuto solo nell’812, da Michele I e in cambio di alcuni territori in Istria e in Dalmazia e della rinuncia a qualunque pretesa su Venezia.

Ordinamento Pubblico

Quanto all’organizzazione del territorio, in Aquitania e in Italia vennero fondati due regni affidati ai figli ed il resto dei domini fu diviso in diversi tipi di distretti: le contee, le marche (nelle zone di frontiera più bisognose di difesa) e i ducati, alcuni dei quali avevano un carattere nazionale, per rendere più accettabile la dominazione franca ai popoli recalcitranti come Bretoni o Bavaresi. Conti, duchi e marchesi erano funzionari pubblici che provvedevano soprattutto alla difesa e all’amministrazione della giustizia, e in cambio di questi servigi ottenevano delle terre.

Il re si assicurava la fiducia dei suoi funzionari anche stringendo rapporti vassallatico-beneficiari, cosicché il patrimonio del funzionario pubblico era composto da terre detenute a vario titolo: alcune erano un beneficium, altre rientravano nell’allodio, altre ancora erano il compenso per la carica, ma queste ultime tendevano con il tempo ad essere considerate un patrimonio di famiglia, un allodio. Il sovrano si preoccupava non tanto di ostacolare questo processo, quanto di controllare l’operato dei funzionari, perciò spargeva nei suoi distretti i suoi fedeli diretti, i vassi dominici, e si serviva dell’istituto dell’immunità: molti enti ecclesiastici divennero immuni sotto il profilo fiscale e giurisdizionale, perciò erano del tutto sottratte dall’autorità del funzionario ed ostacolavano l’eccessiva crescita del suo potere.

L’amministrazione dell’impero faceva capo al palazzo; fra i dignitari di corte avevano un ruolo centrale l’arci-cappellano, capo dei chierici del palazzo, il cancelliere, anch’egli un ecclesiastico che si occupava della redazione di diplomi e testi legislativi e i conti palatini responsabili dell’amministrazione della giustizia. I missi dominici (un ispettore laico ed uno ecclesiastico) visitavano ogni anno un distretto per controllare l’operato dei funzionari.

Quanto all’ordinamento giuridico nei territori conquistati rimasero in vigore gran parte degli ordinamenti e delle leggi preesistenti, le maggiori innovazioni vennero apportate nel diritto pubblico e nell’ordinamento ecclesiastico. Carlo Magno si occupò, infatti, anche dell’attività legislativa: due volte l’anno si tenevano delle assemblee, dette placiti, durante le quali venivano emanati i capitolari. Alcune di queste leggi andavano ad integrare le leggi nazionali; molte erano di natura economica, volte a migliorare la gestione del fisco regio e a proteggere i piccoli proprietari terrieri dai latifondisti. Si cercò anche di impedire l’eccessivo aumento dei prezzi, ma l’imperatore non aveva i mezzi per far rispettare queste decisioni. L’amministrazione carolingia, pur essendo un progresso rispetto ai regni romano-barbarici, risultava comunque arretrata rispetto a quella di Costantinopoli.

Molti capitolari furono dedicati alla riforma della chiesa e dei monasteri, un campo su cui si soffermò molto anche il successore Ludovico il Pio: era importante per il sovrano intervenire direttamente o indirettamente nella scelta di vescovi e abati e controllare il funzionamento degli enti ecclesiastici, essenziali per l’inquadramento della popolazione e quindi per la stabilità del dominio regio. Molti monasteri avevano perso il loro prestigio religioso, perciò Carlo Magno diede avvio ad una restaurazione della disciplina monastica, che fu portata a compimento da Ludovico il Pio con l’estensione a tutti i monasteri della Regola benedettina.

Inoltre per garantire un alto livello culturale vennero istituite delle scuole, presso le cattedrali e i monasteri, frequentate anche dai futuri funzionari e amministratori pubblici. Fu in particolare il monaco anglosassone Alcuino di York ad occuparsi di questa organizzazione scolastica, oltre ad animare quel cenacolo di uomini di cultura riunitisi alla corte di Aquisgrana e chiamato Accademia e Schola Palatina. Un’importane strumento di questa attività culturale era la nuova scrittura carolina che si diffuse in Europa grazie alla sua leggibilità, limitando il particolarismo grafico e favorendo la circolazione dei testi.