René Descartes – vita, opere e pensiero

ARGOMENTI: vita e opere di Descartes, lettera a Picot, Regole per la guida dell’intelligenza, Discorso sul metodo, Meditazioni, Principia Philosophiae, meccanicismo.

VITA E OPERE: Descartes nacque nel 1596 a La Haye, nella Turenna francese, e frequentò per nove anni il collegio gesuitico di La Fleche, al quale diede in seguito un giudizio negativo (rifiutando la filosofia scolastica, appresa più sui manuali che sui testi). Studiò diritto all’università di Poitiers, per poi dedicarsi alla carriera militare: nonostante fosse cattolico, si arruolò nell’esercito del principe protestante Maurizio di Nassau, per la guerra dei Trent’anni.

Nel 1620 si colloca, come racconta lui stesso, il momento decisivo nello sviluppo della sua riflessione, poiché pervenne all’ida dell’universalità del sapere, raggiunta individuando nella matematica il modello delle scienze.

Nel 1629 si ritirò in Olanda dove compose le sue opere principali: Il mondo o trattato della luce scritto nel 1630-’33 (ma pubblicato postumo nel ’64); il Discorso sul metodo, introduzione ai saggi scientifici Diottrica, Meteore e Geometria, nel 1637, le Meditationes de prima philosophia nel 1641 e i Principia philophiae nel 1644.

Nel 1649 (l’anno de Le passioni dell’anima) accettò l’invito della regina Cristina di Svezia, con la quale era in corrispondenza soprattutto su temi morali, e si trasferì a Stoccolma dove morì l’anno seguente di polmonite!

LETTERA A PICOT: nel 1647 uscì l’edizione francese dei Principia philosophiae, tradotti dall’abate Claude Picot, al quale Descartes scrisse una lettera che venne pubblicata insieme all’opera. Nella lettera Cartesio sostiene che, nell’istruirsi, si debba seguire un determinato ordine, che rispecchia la successione di pubblicazione delle sue opere: in primo luogo bisogna formarsi una morale utile a condurre le azioni della vita quotidiana; quindi bisogna studiare quella logica grazie alla quale la ragione può scoprire quelle verità che si ignorano (le principali regole di questa logica e della “morale provvisoria” sono contenute nel Discorso sul metodo, pubblicato nel 1637); infine bisogna dedicarsi alla “vera filosofia“, composta da due parti: la metafisica, oggetto delle Meditationes deprima philosophia (1641), e la fisica, trattata nelle ultime tre parti dei Principia philosophiae. La prima parte di quest’opera è invece dedicata alla metafisica che, per Cartesio, ha un ruolo fondante: la conoscenza, come un albero, ha la metafisica come radici, la fisica come tronco e le altre scienze (che si riducono a medicina, meccanica e morale) come rami.

REGOLE PER LA GUIDA DELL’INTELLIGENZA: composta nel 1627/’28 in latino, rimasta incompiuta e pubblicata postuma, è la prima grande opera teorica di Cartesio, nella quale viene affrontata la questione del metodo e delle regole della logica, questione ripresa dieci anni dopo nel Discorso sul Metodo. Descartes definisce la scienza come una conoscenza certa ed evidente, due requisiti che vengono soddisfatti solo dall’aritmetica e dalla geometria, in quanto consistono nel dedurre logicamente determinate conseguenze ed hanno per oggetto elementi puri e semplici. La matematica è, quindi per Cartesio la forma paradigmatica del sapere; ad essa sono riconducibili tutte le discipline riguardanti l’ordine e la misura, perciò anche l’astronomia, la musica, l’ottica, e la meccanica sono considerate parti della matematica. Cartesio immagina una scienza generale che comprenda tutto ciò che concerne l’ordine e la misura e la indica come “matematica universale”.

Certezza ed evidenza sono date dall’intuizione[1], un atto semplice ed istantaneo con cui l’intelletto coglie qualcosa di per sé evidente. La deduzione, invece, è ciò che viene concluso necessariamente dalle cose conosciute con certezza, ossia dalle intuizioni, ed è un atto dell’intelletto che si svolge nel tempo, non istantaneo. L’atto dell’intuizione coglie le “nature semplici” che sono evidenti di per sé e non scomponibili e si dividono in:

  • Puramente intellettuali, quelle conosciute indipendentemente dalle immagini corporee, come cognizione, dubbio.
  • Puramente materiali, quelle che esistono solo nei corpi, come figura ed estensione;
  • Comuni, quelle attribuite sia ai corpi sia agli spiriti, come esistenza, unità, durata.

La scienza consiste nel vedere distintamente come queste nature concorrano alla composizione delle altre cose, perciò intuizione e deduzione sono necessarie per ottenere qua-lunque conoscenza, ma per evitare errori e trovare le deduzioni adatte al raggiungimento della verità, è necessario un metodo, ovvero un insieme di regole certe e facili che permettono di distinguere ciò che è vero da ciò che è falso. Cartesio definirà queste regole nel Discorso sul metodo.

[1] Cartesio definisce l’intuizione anche come un concetto tanto avvio e distinto da eliminare ogni dubbio riguardo al suo oggetto.

DISCORSO SUL METODO: venne pubblicato nel 1637, in lingua francese, come introduzione ai tre saggi scientifici Diottrica, Meteore e Geometria, nei quali viene provata la validità del metodo presentato nel Discorso (proprio perché si trattava di una semplice presentazione l’opera non venne intitolata Trattato sul metodo). Come Descartes ricorda nella lettera a Picot, il Discorso contiene le principali regole della logica utile a condurre la ragione nella scoperta delle verità che si ignorano, e dalla morale provvisoria utile a condurre le azioni della vita quotidiana.

Le regole della “morale provvisoria” si riducono a quattro massime:

  1. Obbedire alle leggi ed ai costumi del proprio paese, rimanere fedeli alla religione a cui si è stati educati e regolarsi in base alle opinioni più moderate.
  2. Essere fermi e risoluti nelle proprie azoni ed una volta aver deciso di accettare un opinione seguirla quand’anche fosse la più dubbia.
  3. Cercare di vincere sé stessi, anziché la fortuna, e di modificare i propri desideri, anziché l’ordine delle cose del mondo, poiché l’unica cosa interamente in potere dell’uomo è il suo pensiero
  4. Passare in rassegna le diverse attività umana per individuare quella migliore per sé stessi; Cartesio conclude di aver trovato l’attività a lui più consona nel coltivare la ragione e progredire nella conoscenza della verità.

Anche le regole della logica sono quattro e la loro individuazione porta a compimento il progetto, iniziato nel 1627 – ’28 con le Regole, di definire un metodo che guidi le intuizioni e le deduzioni:

  1. Regola dell’evidenza – accogliere come vero solo ciò che si presenta alla mente in modo chiaro e distinto; un’idea è chiara se viene colta in modo completo, senza parti oscure, e distinta se viene colta nella sua singolarità, senza essere confusa con altre idee. Quindi l’evidenza è per Cartesio un criterio di verità.
  2. Regola dell’analisi – dividere i problemi fino ad individuare le loro parti più semplici ed intuitivamente evidenti.
  3. Regola della sintesi – condurre con ordine i pensieri cominciando dagli elementi più semplici e passando gradualmente a quelli più complessi[1].
  4. Regola dell’enumerazione – controllare di non aver omesso nulla attraverso enumerazioni complete e revisioni generali. L’enumerazione deve essere “sufficiente”, cioè non deve tralasciare nessun elemento, altrimenti verrebbe meno la certezza delle conclusioni, e “ordinata” cioè metodica e classificatrice, in quanto è impossibile esaminare singolarmente tutti gli aspetti delle questioni complesse, i quali vengono raggruppati in classi.

L’elaborazione del metodo è strettamente legato alla riflessione di Cartesio sulla matematica; egli sostiene che, tra tutti coloro che hanno ricercato la verità nelle scienze, solo i matematici hanno prodotto ragionamenti certi ed evidenti; accenna anche alla sua scoperta della geometria analitica in cui i concetti di punto, line, paino vengono tradotti in termini algebrici tramite le coordinate oggi dette cartesiane.

La quarta parte del Discorso sul metodo contiene le linee generali della sua metafisica ed un’anticipazione delle Meditazioni; vi compare anche il principio primo della sua filosofia, “je pense, donc je suis”, presente nelle meditazioni nella formula “ego sum, ego existo”.

La ricerca di Descartes parte dall’idea che, per raggiungere delle verità assolutamente indubitabili, si debba considerare falso tutto ciò su cui si possa nutrire il minimo dubbio, ovvero le esperienze sensibili, perché i sensi possono ingannare, i ragionamenti dimostrati, perché ognuno è soggetto a sbagliare, ed in generale tutto ciò che appare alla mente, perché le stesse idee che si hanno durante la veglia si possono anche avere durante un sogno. Si può dunque dubitare di tutto, ad eccezione della propria esistenza, poiché, per pensare che tutto sia falso, è necessario essere qualcosa. Poiché dubito, e quindi penso, posso riconoscermi come un essere pensante, come una sostanza, indipendente dalla materia, la cui essenza o natura consiste solo nel pensare. Descartes, quindi, distingue nettamente la res cogitans dalla res extensa e conclude che l’esistenza dell’anima è la verità prima e fondamentale, la quale comprova la prima regola del metodo, in quanto è evidente che per pensare bisogna essere, perciò l’evidenza diventa criterio di verità.

L’esistenza dei corpi e del mondo esterno, invece, deve essere dimostrata. Per affermare che le nostre idee o nozioni abbiano un fondamento di verità bisogna presuppore l’esistenza di Dio, poiché è impossibile che Dio abbia posto in noi delle idee chiare e distinte senza quel fondamento[2]. Cartesio dimostra quindi l’esistenza di Dio attraverso una prova a posteriori ed una a priori:

  • La I prova parte dall’osservazione che l’uomo ha l’idea di un essere più perfetto di sé stesso, in quanto considera il suo dubitare meno perfetto del conoscere. Questa idea di perfezione non può derivare né dal nulla, né dall’uomo stesso, perciò proviene dall’esterno, da una natura effettivamente più perfetta e che ha in sé tutte le perfezioni di cui l’uomo ha qualche idea, cioè Dio.
  • La II prova consiste nell’argomento ontologico risalente ad Anselmo d’Aosta (XI secolo) e si basa sulla definizione di Dio come essere perfetto: nell’idea di perfezione, infatti, è compresa l’esistenza così come nell’idea di triangolo è compresa l’uguaglianza dei suoi angoli a due retti; perciò nell’idea di dio è implicita la sua esistenza, e questa certezza equivale a quella derivante da una dimostrazione matematica.

* Cartesio rifiuta il solipsismo secondo cui esisto solo io e tutto il resto si riduce alle mie idee, poiché in questo caso avrei potuto darmi tutte le perfezioni ed essere infinito, eterno, immutabile ed onnisciente, qualità che riconosco di non avere.

Il Discorso sul metodo è considerato come un manifesto del razionalismo seicentesco, che si contrappone all’empirismo in quanto considera innati i contenuti elaborati dalla ragione, che secondo gli empiristi, derivano dall’esperienza. Hobbes, Spinoza e Leibniz sono considerati razionalisti per la funzione fondamentale che attribuiscono alla ragione. Alcuni aspetti comuni dei razionalisti sono:

1.    L’affermazione dell’uguaglianza della ragione in tutti gli uomini;

2.    La considerazione della matematica come strumento fondamentale o modello della conoscenza;

3.    L’uso di deduzioni da principi per interpretare la natura e sistematizzare le conoscenze.

[1]  Le nozioni possono essere ordinate secondo il grado di complessità; l’analisi consiste nel passare dalle più complesse alle più semplici e la sintesi dalle semplici alle complesse. Cartesio definisce semplice ciò che è unitario, universale, evidente di per sé, assoluto, cioè indipendente da altro, e complesso ciò che è composto, particolare, derivato, e relativo cioè dipendente da altro. La causa è semplice l’effetto è complesso. Nelle Regole scrive che il segreto di tutto il metodo consiste nel cogliere ciò che è massimamente assoluto, ossia le nature semplici.

[2] Dio è anche il fondamento ultimo della regola dell’evidenza, poiché le idee chiare e distinte provengono da lui che, essendo un essere perfetto, ne garantisce la verità.

MEDITAZIONI METAFISICHE: la prima edizione, in latino, fu pubblicata nel 1641; oltre a dimostrare l’esistenza di dio e l’immortalità dell’anima, come preannuncia il sottotitolo, le Meditazioni riguardano anche le altre conoscenze che si possono ottenere “filosofano con ordine”, a partire dalla scoperta e dimostrazione dell’esistenza dell’io, espressa nella formula ego sum ego existo, sul quale si fondano tutte le altre conoscenze.

PRINCIPIA PHILOSOPHIAE (1644): si dividono in quattro parti di cui la prima riguarda la metafisica e le altre la fisica. Cartesio, già nel 1630\’33, aveva esposto la sua fisica nel trattato Il mondo, che preferì non pubblicare, intimorito dalla condanna di Galileo. Descartes considera la materia e il movimento i soli due elementi che costituiscono il mondo fisico e, poiché la materia si identifica con l’estensione, è infinitamente divisibile, ma dato che si può parlare di infinità solo relativamente a Dio, è più corretto affermare che la divisibilità cartesiana è illimitata o indefinibile. Cartesio rifiuta quindi l’atomismo, poiché gli atomi sono indivisibili, ma accetta il corpuscolarismo e ricollega i fenomeni ai movimenti di particelle corporee che, per quanto piccole, sono necessariamente estese e quindi ulteriormente divisibili.

I corpuscoli si distinguono in tre tipi per forma, dimensioni e movimento:

  1. Le particelle del fuoco sono le più piccole e veloci, non hanno una forma determinata e formano il sole e le stelle.
  2. Le particelle dell’aria hanno una forma tondeggiante e formano i cieli.
  3. Le particelle della terra sono più grandi e meno veloci delle altre e ed hanno originato i pianeti.

I corpuscoli riempiono tutto lo spazio e il vuoto non esiste; a causa di questa assenza il movimento si chiude in un circolo originando un sistema vortici; ogni corpo celeste è avvolto da un vortice e viene trascinato da un vortice più ampio, quello del Sole nel caso della Terra. Il vortice della Terra, inoltre, determina la caduta dei gravi che vengono spinti contro il suolo. Con questo modello puramente meccanico e libero dalle forze a distanza studiate da Newton, Cartesio intendeva spiegare la gravità e la rivoluzione dei pianeti, pur non avendo una base sperimentale, né un’elaborazione matematica.

Descartes applicò la sua visione meccanicista non solo all’universo, ma anche agli organismi, facendo, così, della biologia, una parte della sua fisica: sostenne che i corpi umani e gli animali (ai quali negava l’anima e l’intelligenza[1]) fossero macchine il cui funzionamento potesse essere spiegato studiando la disposizione degli organi e l’interazione meccanica fra le parti. Considerando gli animali dei semplici automi naturali, Cartesio poneva l’accento sulla loro mancanza di pensiero, dimostrata dalla mancanza del linguaggio, e sulla superiorità dell’uomo in quanto dotato di anima immortale. Tuttavia questa tesi venne condotta ad esiti materialistici nell’Illuminismo, quando l’elemento distintivo tra uomini e animali venne rintracciato non nell’anima, ma nella complessità dell’organizzazione della macchina, alla quale venne ridotto anche l’uomo (La Mettrie, L’homme machine).

Secondo Descartes le tre leggi della natura (e per natura intende materia) che governano l’Universo sono:

  1. Ogni cosa permane nel suo stato e cambia solo per l’incontro con altre.
  2. Ogni corpo che si muove tende a continuare il suo moto in linea retta (P. di inerzia).
  3. Se un corpo in moto ne urta un altro, che ha maggior forza, non perde nulla del suo movimento, mentre se ne urta uno che ha minor forza, ne perde tanto quanto gliene dà: la quantità totale di moto si conserva.

Queste leggi di conservazione derivano e dipendono da Dio: poiché Dio è immutabile, anche gli elementi della creazione tendono a conservarsi nel loro stato. Il fatto che Descartes riconduca le leggi della natura alla natura di Dio, è una conseguenza dell’attribuzione alla metafisica di un ruolo fondante rispetto alla fisica; Cartesio, infatti, prova l’esistenza di Dio per essere certo che ciò che appare vero alla mente lo sia anche nella realtà. Questo fondamento metafisico, comunque, non adombra l’importanza delle altre scienze, e in particolare della fisica e della medicina, sulle quali gli uomini, secondo Cartesio, dovrebbero concentrarsi maggiormente: nell’ultima parte del Discorso sul metodo, infatti, la filosofia meramente speculativa viene contrapposta a quella pratica, volta al bene comune ed alla conquista della natura. Dunque anche Descartes, come Galileo e Bacone, esprime il tramonto dell’ideale del sapere puramente contemplativo. Un aspetto che, invece, distanzia Cartesio da quei due pensatori, sta nel fatto che l’impostazione deduttiva della sua fisica pone nettamente in secondo piano il riferimento all’esperienza.

* L’esclusione di Dio: nel Mondo Descartes ricostruisce la genesi dell’universo partendo dall’ipotesi della creazione di una materia estesa in modo indefinito, divisa in parti e messa in movimento da Dio, il quale si è poi dispensato dall’intervenirvi ulteriormente: l’ordine e la perfezione dell’universo sono emerse dal caos grazie ai principi della materia e del movimento (le leggi della natura). In questa “favola”, interpretata da alcuni come un passo verso l’ateismo, Dio appariva lontanissimo dal mondo.

[1] G.A. Borelli è stato un matematico e astronomo del XVII sec., meccanicista, che, considerando gli animali come automi naturali, ne studiò i movimenti dal punto di vista geometrico-meccanico; si interessò, in particolare, del moto muscolare. Michel de Montaigne è stato un filosofo francese del XVI sec. che, non escludendo la presenza di un’anima nelle bestie, criticò l’idea cartesiana degli animali come macchine.

Il Meccanicismo: è una concezione che si sviluppò soprattutto nel XVII secolo, accompagnando la rivoluzione scientifica, ma che si può rintracciare anche negli atomisti antichi (Democrito, Epicuro), secondo la quale l’universo è simile ad un grande meccanismo, spesso si fa riferimento all’orologio, nel quale gli eventi naturali possono essere spiegati tramite i concetti e i metodi della scienza dei movimenti, la meccanica. La natura viene considerata come un sistema materiale in movimento spiegabile con poche leggi che seguono regole matematiche; nei fenomeni naturali non si manifesta nessun principio vivente, né si esprimono forze vitali e cause finali, viene quindi eliminata la prospettiva antropomorfica. Il meccanicismo, inoltre, postula l’esistenza di corpuscoli o atomi (non osservabili, ma pensabili) le cui proprietà ed i cui movimenti rappresentano i principi esplicativi della realtà; si caratterizza anche per la distinzione tra qualità oggettive e soggettive. Fra gli esponenti Descartes, Hobbes e Robert Boyle; venne ripreso nell’illuminismo soprattutto dai materialisti La Mettrie e D’Holbach.